Il cavallo del vescovo di Catania

da GGulisano
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Racconta questa leggenda che il crudele imperatore svevo Enrico VI, che regnò in Sicilia dal 1194 al 1197, impose in Sicilia vescovi e dignitari a lui fedeli, e suoi degni rappresentanti anche quanto a ferocia.

Uno di questi crudeli funzionari imperiali era il vescovo di Catania, il quale una volta affidò il suo cavallo più bello ad uno scudiero e a due palafrenieri, per portarlo a passeggio sulle balze dell’Etna.

Il cavallo a un certo punto, si imbizzarrì, e comincio a correre verso la cima del vulcano; soltanto lo scudiero lo seguì, perché i due palafrenieri, stanchi della corsa, preferirono ritornare a Catania.

Il crudele vescovo svevo li fece immediatamente decapitare.

Lo scudiero seguì il cavallo del vescovo fin sulla vetta dell’Etna; ma, arrivato sull’orlo del cratere centrale, il cavallo diede un balzo, e vi sparì dentro.

Il povero scudiero si mise a piangere, non vedendo più il suo bel cavallo, e pensando a quale sorte lo aspettava se fosse tornato a mani vuote dal suo inesorabile signore; quando improvvisamente vide accanto a sé un vecchio, dalla solenne barba bianca, che gli disse: “Io so perché tu piangi; vieni con me, e ti mostrerò dov’è il cavallo del vescovo di Catania”.

E, rinfrancatolo e presolo per mano, lo condusse per un passaggio misterioso, attraverso il fumo del vulcano, dentro una sala meravigliosa, piena di cristalli e di lampadari scintillanti, dove c’era un trono tutto d’oro, e sul trono c’era re Artù (che secondo una leggenda inglese vive ancora sull’Etna).

Il re gli disse che sapeva tutto di lui e del crudele vescovo di Catania, e gli mostrò, in fondo alla sala, il cavallo che egli cercava, ed aggiunse: “Torna dal tuo vescovo, e digli che sei stato alla corte di re Artù; e digli anche che la sua crudeltà e la sua prepotenza, in cui egli è degno rappresentante del suo imperatore Enrico VI, hanno stancato persino la pazienza di Dio, che presto lo punirà per mio mezzo; e digli infine che se vuole cavallo, deve venire a riprenderselo lui stesso, salendo a piedi fin qui ; ma se non verrà entro quattordici giorni, al quindicesimo giorno egli morirà”.

E detto questo lo congedò, dopo avergli regalato un ricco mantello e una borsa piena di denari.

Lo scudiero, improvvisamente, si ritrovò sull’orlo del cratere, e avrebbe veramente creduto di aver sognato, se non avesse avuto il ricco mantello sulle spalle, e la borsa piena di denari nelle mani. Ritornò a Catania, ma il crudele vescovo non gli credette, anzi sostenne che lo scudiero aveva venduto il cavallo, e che i doni di re Artù erano tutto una menzogna; ma, colpito dall’accento di verità del suo sevo, non ordinò di decapitarlo, come aveva fatto con i palafrenieri, e lo fece imprigionare.

Per 14 giorni, lo faceva venire dinanzi a sé e lo interrogava, e lo scudiero raccontava sempre la stessa storia di re Artù; il vescovo non voleva umiliarsi e riconoscere le sue colpe, e mandava sempre gente sull’Etna a cercare il suo cavallo, e la gente non tornava più.

Così si andò avanti per 14 giorni; all’alba del 15° giorno il vescovo, esasperato, si fece venire davanti l’intrepido scudiero.”Tu sei uno stregone” lo investì ,”tu ti sei divertito a fare scomparire non solo il mio cavallo, ma anche i miei cavalieri e le mie guardie. E io ti darò ora il premio che si conviene agli stregoni come te: non la forca o la decapitazione, ma il rogo. Orsù, guardie, prendetelo e bruciatelo vivo!”. Nel dir così si alzo in piedi, ma strabuzzò gli occhi, diede una giravolta, e cadde morto stecchito.

La profezia di re Artù si era avverata, e il crudele vescovo aveva terminato per sempre di tormentare i catanesi.

Ed anche sul feroce imperatore Enrico VI di Svevia si abbatteva inesorabile la vendetta divina, perché moriva appena trentaduenne a Messina, il 25 settembre 1197, ed è sepolto nel duomo di Palermo, assieme alla consorte Costanza d’Altavilla e al grande figlio Federico II di Svevia.

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